Verso una montagna leggera, leggerissima
Rendere la montagna vivibile e accessibile operando con il minor impatto possibile richiede infrastrutture pensate in chiave sostenibile. Servono soluzioni che incentivino una mobilità dolce, come percorsi ciclopedonali, greenway e ciclovie, integrate con una rete ferroviaria efficiente e trasporti collettivi accessibili e capillari.
Infrastrutture non solo per i turisti, ma realtà al servizio delle comunità locali, in grado di connettere territori e persone. Una strategia che consente di ridurre sensibilmente le emissioni di CO₂, considerando che i trasporti turistici rappresentano circa il 75% delle emissioni complessive del settore.
Dagli interventi di “Montagna leggera, leggerissima”, convegno tenutosi mercoledì 9 aprile 2025 presso la sede UNIMONT a Edolo, emerge una forma di turismo leggero e consapevole. Un viaggiare mosso dal desiderio di conoscere i luoghi in profondità e di entrare in relazione con le persone che, in questi contesti spesso considerati marginali, hanno scelto di costruire i propri progetti di vita. Un turismo che riconosce e valorizza chi si prende cura del territorio, custodendone l’identità, le storie e le specificità locali.
È una pratica di viaggio attenta, che si interroga sull’impatto delle proprie scelte e che abbraccia una visione di sostenibilità ampia: non solo ambientale, ma anche sociale, culturale ed economica, in un rispettoso equilibrio tra abitanti, visitatori e paesaggi.
Parlando di turismo in montagna è tuttavia inevitabile osservare le stazioni sciistiche i cui fasti del passato non sono, oramai, che un lontano ricordo.
Tra le proposte di recupero e rivitalizzazione delle strutture abbandonate spicca Memorie di ferro di Lucio Bosio, un progetto di artigianato nato con l’obiettivo di restituire senso e dignità a ciò che sembrava destinato all’oblio.
“Io sono un artigiano della memoria”, afferma Bosio, filosofo ed educatore prima ancora che artigiano, che da anni lavora per salvare ciò che resta degli impianti sciistici dismessi, non solo come oggetti, ma come custodi di storie collettive.
Il progetto si concentra in particolare sul traliccio della sciovia: struttura ingombrante, massiccia, apparentemente inerte, che tuttavia attraversa immobile i decenni e, proprio per questo, conserva e restituisce memoria.
Come può un oggetto così pesante tornare all’improvviso a funzionare? È questa la domanda da cui prende forma l’esperienza artigianale di Bosio, che attraverso la cura manuale e la narrazione restituisce nuova vita ai frammenti di un paesaggio umano e montano che non vuole essere dimenticato.
Dimenticare è infatti un antico vezzo umano. Una brutta abitudine che si manifesta anche nel mancato riconoscimento – quando si ripensano gli spazi – del ruolo della vegetazione.
L’architetto Attilio Cristini ha sollevato una questione tanto sottile quanto urgente: il rischio di un crescente analfabetismo nell’uso del verde come risorsa progettuale. Attraverso esempi concreti, Cristini ha invece invitato a considerare il verde non solo come elemento decorativo o funzionale, ma come vero e proprio patrimonio, capace di orientare e arricchire la progettazione stessa.
Provocatoriamente, ha ricordato come la prima scuola sia probabilmente nata proprio sotto un albero, sottolineando così il valore originario e relazionale della natura. Il verde, in questa visione, diventa un elemento dialogante, capace di connettere l’architettura al contesto, evitando che essa risulti estranea o imposta.
Le piante, ha rimarcato Cristini, influenzano i cromatismi, modificano la percezione degli spazi e spesso condividono con l’architettura affinità di forma e struttura. Un invito, dunque, a riscoprire il linguaggio del verde, a leggerlo, interpretarlo e integrarlo come parte viva e consapevole del progetto.
Maddalena Gallotto (Residenze eroiche)