L’8 aprile a Cedegolo, Festival all’insù è stato protagonista di un tema che tocca molto vicino la Valle Camonica al pari di altri territori montani: le centrali idroelettriche. Il convegno, tenutosi presso il musil, ha declinato alcune tematiche di cui la montagna è, ancora una volta e sotto varie forme, protagonista.

Il Museo dell’Energia idroelettrica è stato scelto come luogo dell’incontro per via della sua storia e delle attività che da sempre propone. Inaugurato nel 2008, ha sede nella ex centrale di Cedegolo. Un gioiello dell’archeologia industriale italiana di inizio Novecento, realizzato dal bresciano Egidio Dabbeni: ingegnere e architetto di fama internazionale.

La Prof.ssa Viviana Ferrario ha aperto la sessione con un intervento dedicato al rapporto tra paesaggio e infrastrutture energetiche. La montagna è emersa come contesto in cui l’idroelettrico è fonte di sviluppo sì, ma allo stesso tempo di forte cambiamento. Lo stesso mutamento che ha contribuito a rendere possibile il passaggio delle terre alte all’età moderna.

Interventi, quelli volti alla realizzazione delle infrastrutture necessarie alla produzione d’energia, che si collocano nella sfera d’azione in cui l’architettura minima può, ancora oggi, fare la differenza. Un passaggio ripreso dai vari relatori alternatisi nel corso della mattinata, ognuno portatore di buone prassi, testimonianze progettuali e spunti di riflessione.

Per architettura minima s’intende qui lo spazio di minimo intervento che rende possibile ottimizzare le risorse, operando in modo funzionale. Operazioni che, per rivelarsi realmente efficaci, devono saper partire dal paesaggio e dalle sue esigenze.

Necessità che emergono fortemente anche negli esempi, portati in luce, di avvicinare la persona – sia questa turista o abitante del luogo – agli edifici tecnici. Cabine elettriche assumono quindi una veste idonea anche alla fruizione di carattere civile.

D’altro canto, è anche corretto ricordare che le centrali idroelettriche sono state spesso oggetto di dibattito tra enti locali e residenti. Non da ultimo a causa di eventi tragici che hanno, nel corso degli anni, scavato un solco profondo nella memoria collettiva della valle (così come di altri territori montani).

Ma non è solo il dramma – come dimenticare il crollo della Diga del Gleno nel 1923 – ad essere oggetto della preoccupazione di chi la montagna, giorno per giorno, la vive. Lo sbarramento dei corsi d’acqua può infatti alterare gli equilibri necessari al mantenimento di habitat di specie diverse. Senza contare l’impatto anche visivo delle opere monumentali realizzate in passato.

L’energia è infatti portatrice di trasformazione del paesaggio, fortemente connotato da interventi di natura antropica, che vanno a rivedere la forma naturale originaria dei luoghi. Due poli opposti che si completano a vicenda, posti in un dialogo continuo di interrelazione.

Ogni transazione energetica è stata spesso salutata come creatrice di nuovi paesaggi, frutto di cambiamenti spesso temuti.

Da qui, la necessità di fare tesoro delle lezioni del passato, ragionando nei termini di apportare il minor impatto possibile. Ecco allora che il paesaggio diviene esso stesso una risorsa. Un bene da tutelare, promuovendo azioni di mitigazione e salvaguardia.

Il tema “dei paesaggi dell’energia”, ben espresso sempre da Viviana Ferrario, si deve legare ad azioni di rispetto. Logiche legate alla comprensione anche dei conflitti sociali che affiancano lo sviluppo delle architetture dell’idroelettrico. Dimensioni in cui entrano in gioco meccanismi di amministrazione del territorio su più livelli.

Dinamiche nelle quali si specchia il dibattito sull’energia, declinabile nelle varie forme che questa oggi assume, fotovoltaico ed eolico inclusi. Considerazioni che lasciano spazio a punti interrogativi, momenti di confronto e dibattito che si auspica possano essere attivamente partecipati da tutti gli attori coinvolti nel processo. Incluse le comunità che la montagna la vivono.

Con la collaborazione di Veronica Belli (Residenze eroiche)