Il ruolo sociale dell’architetto
A seguito dell’assegnazione del Premio ABITARE MINIMO IN MONTAGNA, una tavola rotonda ha riunito i membri della Giuria e gli architetti premiati e menzionati. Ne è nato un confronto ricco e sfaccettato sui temi della rigenerazione nei contesti montani.
Il dialogo ha messo in luce non solo le difficoltà, ma anche le ampie possibilità di trasformazione insite nel progettare in territori fragili e marginali tra Alpi, Appennini e isole. Territori che custodiscono un enorme potenziale per processi di cambiamento.
È emerso con forza il ruolo sociale dell’architetto, un ruolo che si estende ben oltre la semplice capacità di immaginare edifici armoniosi e funzionali.
“Dobbiamo uscire dall’idea che l’architetto sia solo un bravissimo costruttore di spazi ben inseriti nel paesaggio”, ha sottolineato Roberto Dini, architetto che insieme a Stefano Girodo ha ricevuto una menzione speciale per il progetto RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO ORESTE BOSSI – ANDREA FILIPPI.

Da sinistra: Priscilla Ziliani (Ass. a Cultura e Turismo presso la Comunità Montana di Valle Camonica), Stefano Girodo e Roberto Dini
“Abbiamo uno strumento che, attraverso il disegno architettonico, è in grado di far riflettere le comunità non solo sugli spazi, ma anche sulle prospettive di sviluppo future”.
Una visione che considera l’architettura come un mezzo per sollecitare una riflessione più profonda sulle dinamiche sociali e culturali di questi territori.
In questa prospettiva, l’architettura non è più solo una risposta tecnica a un’esigenza funzionale, ma diventa un motore attivo di trasformazione, capace di innescare processi di rigenerazione economica, culturale e sociale.
Un pensiero condiviso anche da Antonio De Rossi, membro della Giuria, che ha descritto l’architettura come un volano rigenerativo, “capace di prefigurare nuovi percorsi di rivitalizzazione dei territori”.
Non si tratta solo di costruire edifici, ma di accompagnare le comunità montane nel riconoscimento dei propri bisogni e nel disegno di nuove prospettive, stimolando il dialogo tra tradizione e innovazione.

Antonio De Rossi
“La vera sfida”, ha ripreso Dini, “è farsi registi di azioni più ampie, aiutando i territori a mettere a fuoco le proprie problematiche e a immaginare possibili prospettive future”.
A fare da sfondo a queste riflessioni è il tema del riabitare la montagna. Un concetto che va oltre un ritorno nostalgico al passato e che si traduce in un progetto concreto e contemporaneo.
Un’idea che vede nell’architettura uno strumento centrale per ridisegnare le relazioni sociali ed economiche di aree che troppo a lungo sono state considerate marginali.
Il Premio ABITARE MINIMO IN MONTAGNA ha dimostrato, attraverso interventi minimi ma incisivi, che è possibile immaginare un’altra montagna.
Non solo come territorio da riabitare, ma anche come terreno fertile di sperimentazione e creazione di nuove forme di fare comunità; di welfare, di imprenditorialità, di conoscenza e di saperi territoriali.
In questo processo, l’architetto non è più solo un tecnico. Incarna invece i ruoli di mediatore, attivatore, costruttore di visioni che contribuiscono a forgiare il futuro dei luoghi. E delle persone che li abitano.
Maddalena Gallotto (Residenze eroiche)